Sono bastate alcune dichiarazioni alla stampa del Ministro dello Sviluppo Economico Di Maio in tema di aperture festive dei negozi per riaprire un dibattito che sembrava appartenere al passato, ma che, in realtà, era destinato a ravvivarsi nelle aule parlamentari, dove stanno per essere discussi ben cinque diversi progetti di legge presentati su questo tema da altrettanti soggetti politici ed istituzionali.
Dunque si torna a discutere: aperti o chiusi nelle festività comandate? Deve prevalere il diritto al riposo di imprenditori, addetti alle vendite e le loro famiglie oppure è più importante il diritto al lavoro di chi nelle festività ha occasione di guadagni maggiori (imprenditori e dipendenti), l’offerta di più ampi servizi possibili, l’incentivo ai consumi?
Partiamo da alcuni dati oggettivi. Uno studio svolto ad hoc dall’Istat, in occasione delle audizioni in commissione Attività produttive della Camera sulle proposte di legge sulla chiusura domenicale degli esercizi commerciali, afferma che, nonostante le liberalizzazioni sugli orari e sui giorni di apertura dei negozi avviate dal 2011 con il governo Monti, gli acquisti domenicali non sfondano. Mentre crescono quelli on line, ovvero l’e-commerce: il 32% degli italiani tra i 16 e i 74 anni ha fatto acquisti nel corso del 2017, con una crescita di 17 punti percentuali. Il giorno preferito dagli italiani per fare shopping nei negozi tradizionali risulta essere il sabato, giorno prescelto soprattutto dalle donne.
Da novembre 2013 a ottobre 2014 “circa un quarto delle persone di 15 anni e più (pari al 24,2%) ha effettuato acquisti di beni e servizi nella giornata di domenica, quota più bassa rispetto agli altri giorni della settimana. Il sabato è il giorno con la più alta incidenza di acquirenti (51,9%), percentuale che scende al 43% nei giorni feriali”, come ha spiegato in audizione Roberto Monducci, direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat. Il tempo che i consumatori dedicano mediamente agli acquisti la domenica (1h 7′) è pressoché uguale a quello impiegato da chi sceglie il giorno feriale, e di circa 10 minuti inferiore al tempo impiegato durante il sabato (1h 18′).
Il tema è complesso e tocca molti aspetti di notevole importanza (di ordine sociale, pedagogico, valoriale e anche religioso) sui quali non è questa la sede per valutazioni ed indicazioni. Restiamo allora sul campo delle valutazioni di buon senso economico. E’ infatti interessante osservare che Confcommercio, la principale realtà associativa di rappresentanza del mondo della distribuzione commerciale, ha assunto subito una linea di cautela improntata sul dialogo e favorevole ad una regolamentazione minima.
Ci sembra l’atteggiamento corretto: occorre discutere con atteggiamento non ideologico il ruolo della distribuzione, con l’obiettivo di evitare gli errori del passato e di valorizzare il modello distributivo italiano fatto di piccole, medie e grandi imprese per assicurare il massimo del servizio e della qualità alle famiglie e ai consumatori. Partire, quindi, da una regolamentazione minima e sobria per le chiusure festive attraverso il dialogo con le rappresentanze è una via percorribile e imprescindibile.
Date queste premesse, è partita a fine settembre un’articolata procedura di consultazione dei soggetti coinvolti: sulle cinque proposte di legge dedicate a orari e chiusure domenicali dei negozi, attualmente depositate in commissione Attività produttive della Camera, è stato messo in calendario un fitto ciclo di audizioni da parte della commissione stessa. Nella lista delle proposte di audizioni ci sono 45 enti diversi.
Il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ha ribadito la linea della Confederazione: “Siamo d’accordo con lo spirito dei disegni di legge, ma bisogna conciliare esigenze del servizio ai consumatori, libertà d’impresa e qualità della vita di chi lavora nel commercio”. Gli strappi non servono, serve un punto di equilibrio ragionato”.
Il parere di Confcommercio
– La nuova disciplina sugli orari dei negozi dovrebbe riguardare esclusivamente gli esercizi al dettaglio con esclusione delle attività da sempre non ricomprese in questo perimetro come i pubblici esercizi.
– Per quanto riguarda le giornate di chiusura obbligatoria, la nuova disciplina dovrebbe individuare, nell’ambito delle festività, un numero minimo di giornate di chiusura, fissato dalla legge statale.
– La legge statale dovrebbe altresì fissare un ragionevole numero di ulteriori chiusure, rimettendo ad ogni Regione il compito di decidere le specifiche giornate (domenicali e/o festive) previa consultazione delle rappresentanze delle imprese, dei sindacati dei lavoratori, dei consumatori e degli Enti locali.
– Inoltre alle Regioni dovrebbe essere rimesso il compito di fissare le deroghe per opportune e accertate esigenze turistiche e territoriali.
Confcommercio ha inoltre affermato la propria contrarietà alla ipotesi di turnazione dei negozi perché si introdurrebbe un obbligo di apertura in date fissate in via amministrativa, che è impossibile da controllare e di difficile gestione. Inoltre la turnazione sarebbe difficilmente conciliabile con un sistema che vede due soli settori merceologici (alimentare e non alimentare) e, assai spesso, la compresenza nello stesso esercizio, di più merceologie appartenenti a differenti settori.
E’ bene evidenziare, infine, come la questione orari, pur importante, non sia sufficiente da sola a realizzare le condizioni per il mantenimento ed il rafforzamento del pluralismo distributivo. Servono politiche attive per ridare fiato ad un settore come quello del commercio che ha bisogno di strumenti nuovi e innovativi. E’ necessario puntare quindi su misure fiscali, modificare la disciplina del commercio elettronico per garantire parità di regole nel fare impresa, progettare una nuova programmazione commerciale che faccia perno sulla rigenerazione urbana, diffondere l’uso degli strumenti elettronici di pagamento, offrire alle imprese strumenti di flessibilità per l’attività lavorativa, ad esempio l’estensione dei voucher alle aziende con più di cinque dipendenti e sviluppare l’innovazione e la digitalizzazione.
Il comparto in questi anni è stato lasciato un po’ in balia del libero mercato, le liberalizzazioni non hanno prodotto i risultati sperati, non hanno prodotto valore nel comparto. Questo è un comparto molto vitale che i segnali sull’occupazione li ha dati e come, ma il calo dei consumi ha lasciato il segno sull’80% del Paese. Il ragionamento limitato a festivi sì o festivi no o quali festivi crediamo sia un po’ limitativo, dopo aver dato un segnale a livello nazionale si deve lasciare alle Regioni la possibilità di poter gestire il tema delle festività. Ci si deve ispirare a un principio di sostenibilità, tutelare il lavoro e garantire la possibilità di acquisto dei consumatori, tenendo conto del mantenimento del pluralismo distributivo.