E’ proprio il caso di affermarlo: il primo semestre del 2016 va archiviato e velocemente. Dopo il -16,1% di marzo, il -11,1% di aprile, in maggio la flessione è stata del -9,7%, con il crollo degli orologi in metallo prezioso e l’Italia a -20,9%. Tutto questo, in giugno, se possibile è ulteriormente peggiorato, con un fatturato complessivo di 1.635,7 milioni di chf, -16,1% rispetto allo stesso mese del 2015, a chiudere un semestre, che non è peregrino definire “da incubo”. Mai si era verificata una discesa così veloce e marcata. Nello specifico, la media mobile di tendenza nei dodici mesi, che a gennaio si aggirava sotto al -4%, ha superato il -8% (a luglio 2015 il dato era nell’intorno del -0,2/0,3%). L’analisi per materiali è sempre più impietosa e lascia poco spazio ad ulteriori interpretazioni, con tutte le categorie di segno negativo, sia in volume che a valore, con “sugli scudi”, come accennato, la débacle dei modelli in metallo prezioso, -24,8% a quantità e – 31,4% a valore, indice del fatto che anche una riduzione del prezzo medio non ha inciso positivamente, anzi: una scarsa fiducia, generalizzata sul breve termine, ha portato alla discesa anche l’acciaio (-6,2% a valore e -9,1% a volume), con l’acciaio/oro che ha contenuto le perdite in valore al -5,4% (a volume, -12,5%), anche grazie ad un lieve incremento del prezzo medio. Nel complesso, a volume le esportazioni di orologi da polso sono diminuite del 15,1%, per un totale di 2.196.400 unità, e anche gli “altri materiali” hanno lasciato sul terreno il 23,3%.
Affrontando l’analisi per segmentazione, centrata sulle fasce di prezzo degli orologi da polso (ovviamente in entrata sui diversi mercati e, dunque, ante ricarichi della filiera distributiva), ecco “comprovata” la costante perdita di terreno in tutte le fasce, senza alcuna eccezione, ma con la fascia tra i 500 e i 3.000 chf (-3,4% in volume e -6,5% a valore, l’unica con una negatività non in doppia cifra ), che si conferma il range che meglio sta contenendo la flessione (potremmo inserire parte della categoria acciaio/oro in questa fascia). Alla luce, infatti, dei dati “per materiali” sopra illustrati, il segmento top, ossia i modelli dal costo superiore ai 3.000 chf, hanno lasciato sul terreno, a valore, il 19,5% (dopo il 14,6% di maggio), segno inequivocabile che la frenata proveniente da Far East e dalla Russia, sta trascinando sullo stesso trend anche la “vecchia” Europa e, in parte, gli Stati Uniti. L’unico argine che può elevarsi in una simile situazione è, senza alcun dubbio, lo stimolo ad una ripresa dei consumi interni, a supportare una ripresa quanto meno quantitativa della fascia medio-bassa, seppur con scarsa incidenza a valore. In tal senso vi è molto da fare, dato che la fascia 200-500 chf è oggetto del crollo più marcato a valore (-19,8%), cui corrisponde l’equivalente -19,7% a volume, mentre raddoppia, rispetto al mese di maggio, la débacle dei modelli più economici, a -12,1% a valore (-16,5% in volume a fronte del -6,1% in maggio).
Riflettendo questi dati, infine, sulle aree di mercato, oltre ad evidenziare il diciassettesimo mese consecutivo in cui Hong Kong fa registrare il segno meno nell’importazione di orologi dalla Svizzera, passando dal -16,8% di maggio al -29.2% di giugno (addirittura, -43%, rispetto allo stesso mese del 2014), vi è, purtroppo, da constatare la marcata e, sinceramente, inaspettata flessione dell’Italia (-28,2%, dopo il -20,9% di maggio, indicato in apertura), che, non ostante ciò si colloca avanti alla Cina (-6,5%), seppur per pochissimo (lo scorso anno, lo stesso mese, vedeva una differenza tra i due Paesi di ben 36 milioni di chf spesi). Dei primi 15 paesi importatori, contengono il ritardo rispetto al 2015, USA (-8,5%) e Giappone (-4%), mentre, in Europa, Francia, Germania e Inghilterra (-26,1%, ancor più inaspettato, dopo il -2,5% del mese di maggio), esplicitano una fase di preoccupante difficoltà. L’unica area che sembra reagire meglio, attualmente, con Arabia Saudita, Bahrain e Kuwait, di segno positivo, non ostante il -9,4% degli Emirati Arabi Uniti e un’incidenza assai ridotta sull’insieme.
Il dato consolidato sul primo semestre ci consegna un quadro decisamente desolante, con le uniche eccezioni del Giappone (+2,9%, sta pian piano tornando sui livelli del 2014), un mercato solido, in cui una politica mirata, in particolare sui beni d’importazione, sta favorendo i consumi interni, di Emirati Arabi Uniti (+2,7%), Kuwait e Bahrain dell’area mediorientale, e poi, d’incidenza, quasi impercettibile, Australia, Canada e Israele. Hong Kong lascia suk terreno il 26,7%, incalzato oramai da presso dagli USA (-9,3%). In Europa, notevole il decremento della Francia (-14,8%), seguita dall’Italia (-12,6%), dall’Inghilterra e dalla Germania, ma anche gli altri Paesi europei rallentano, come la Spagna, l’Austria, l’Olanda, il Portogallo. Il regresso della Russia, poi, prosegue su ritmi elevati: -23%, e -45,5% se ci si rapporta al 2014. Complessivamente, comunque, nel primo semestre 2016, le industrie orologiere svizzere hanno fatturato 9 miliardi e 478 milioni di chf, -10,6% rispetto al primo semestre del 2015 (10 miliardi e 606 milioni di chf). In termini continentali, sempre per il primo semestre , relativamente agli orologi da polso, in valore l’Europa ha regredito dell’8,8%, l’Africa del 2,3%, l’Asia del 12,4% (con il Middle-East positivo a +0,4%, a conferma di quanto sopra-evidenziato), l’America del 10,4% , mentre l’Oceania è in leggero incremento. A livello generale, l’Europa incide sul fatturato FHS per il 33,4%, l’Asia per il 49,8%, l’America per il 14,5% (Africa e Oceania, incidono, insieme, per il 2,4%). Ci auguriamo solo che il fondo sia stato toccato e che il secondi semestre 2016, apra una nuova stagione.