Oramai lo sappiamo: tutto ciò che si verifica all’interno di un mercato (a parte rare eccezioni) può essere visto, letto, vissuto sotto un duplice punto di vista. Può, cioè, rappresentare una occasione di sviluppo, di risveglio, di crescita oppure costituire un nuovo ostacolo, un impedimento, una turbativa.
L’imminente commercializzazione sul mercato italiano degli apparecchi elettronici “da polso” denominati genericamente “smartwatch” si presta allo stesso tipo di reazione: si tratterà di un evento traumatico e devastante oppure della insperata occasione per il rilancio del mercato dell’orologeria?
In questi mesi, molti operatori del nostro settore si stanno ponendo questa domanda e stanno inevitabilmente dividendosi nei due partiti dei pessimisti e degli ottimisti. Non molto tempo fa, quando ebbi occasione di conversare con un importante protagonista del mercato italiano dell’orologeria, rimasi piuttosto sorpreso nel verificarne un certo disinteresse sulla questione del potenziale impatto che questa nuova categoria di prodotti avrebbe potuto avere nel mondo degli orologi. L’atteggiamento era del tipo “sono prodotti diversi, con dinamiche di consumo e target di pubblico difficilmente equiparabili”.
Credo che anche questo interlocutore si sia abbondantemente ricreduto, soprattutto se gli è capitato di vedere la pagina pubblicitaria che una nota azienda di telecomunicazioni ed informatica sta pubblicando su alcune testate specializzate sull’elettronica di consumo. La pagina mostra la grande immagine di un orologio (cassa in metallo satinato, quadrante scuro, lancette delle ore, dei minuti e dei secondi, cinturino) accompagnata da uno slogan che dice: “Questo non è un orologio”, per poi spiegare: “689 calorie bruciate questa mattina, 4.300 canzoni a mia disposizione, 5 selfie di gruppo alla festa, 25 notifiche il giorno dopo”. Insomma, una apparecchio multifunzione capace di svolgere le funzioni di Health & Fitness Tracker, Sport Computer, macchina fotografica, storage di musica, eccetera. Il tutto in un “corpo” del tutto identico a quello di un normale orologio e destinato ad essere portato al polso del suo utilizzatore.
Il mercato di questo tipo di apparecchi, nel nostro Paese, è appena agli albori: i 43.000 pezzi venduti nel 2014 con un prezzo medio di 180 euro non rappresentano nulla su un mercato dell’orologeria di quasi 7 milioni di pezzi. Anche in altri mercati europei, i numeri del 2014fotografano un mercato ancora piccolissimo: 136.000 pezzi venduti in Germania, 108.000 in Francia, 80.000 nel Regno Unito, 46.000 in Spagna. Però gli stessi dati, elaborati da GfK, raccontano di un mercato ancora embrionale, che attende di esplodere e che già tra il 2013 ed il 2014 ha fatto registrare incrementi percentuali vicini al decuplo.
Il 2016 dovrebbe rappresentare l’anno critico da questo punto di vista. Verso la fine dell’anno in corso, infatti, tutti i principali player dell’industria mondiale dell’informatica e della consumer electronics presenteranno i loro smartwatch e inizieranno la commercializzazione capillare sul mercato italiano. Scenderanno in campo autentici colossi dell’economia planetaria e inizieranno a vendere prodotti che qualunque consumatore medio riterrà sostanzialmente degli orologi “evoluti”, l’anello di congiunzione tra l’evoluzione dell’informatica, dell’elettronica di consumo e dell’orologeria.
Secondo una indagine condotta da GfK per ASSOROLOGI, il consumatore italiano è interessato al fenomeno dello smartwatch anche se ha idee piuttosto confuse su cosa sia esattamente e quanto possa costare un apparecchio del genere. Però indica chiaramente che pensa di poterlo trovare in una gioielleria / orologeria tradizionale (37%) ovvero situata all’interno di un centro commerciale (18%) o nei negozi monomarca (25%). Altro dato molto interessante: la maggiore sensibilità verso questo prodotto proviene dal consumatore giovane (soprattutto la fascia di età 25 – 34 anni sia uomo che donna), ma è ritenuto interessante anche dalla fascia di età 35 – 44 anni soprattutto per gli uomini.
In questi mesi che preparano la “rivoluzione smartwatch” si moltiplicano le interviste, le dichiarazioni, le presentazioni di prodotti. Le maggiori fiere mondiali dell’elettronica di consumo (Berlino e Barcellona in Europa) hanno già evidenziato l’avanzato stadio di preparazione dell’industria mondiale, oramai pronta ad aggredire il mercato.
Qualche dichiarazione senza citare nomi e brand. Una multinazionale coreana di elettronica dice: “Uno smartwatch, per piacere agli utenti, deve essere uno strumento di utilizzo quotidiano, una sorta di compagno fidato. Per questo motivo i nostri modelli sono sempre più simili agli orologi tradizionali, non sono eccessivamente ingombranti e possono essere indossati in ogni circostanza”. Fa eco una multinazionale cinese: “Il nostro Watch è caratterizzato da un forte contenuto tecnologico ma è stato realizzato ispirandosi agli orologi tradizionali e utilizzando materiali di qualità elevata tipici di questi prodotti”.
Chiarissima l’affermazione di un primario fabbricante taiwanese di informatica: “In futuro riteniamo che gli smartwatch, una volta migliorata la batteria e attuati alcuni piccoli accorgimenti, potranno sostituire completamente gli orologi classici. Fondamentale per questo processo sarà il design: gli smartwatch dovranno sempre più riprodurre e acquisire l’eleganza degli orologi tradizionali”.
Accanto a questo vera e propria invasione di campo da parte della grande industria dell’elettronica e dell’informatica, anche importanti brand dell’orologeria stanno per lanciare sul mercato orologi disegnati all’interno della maison, recanti il proprio marchio e arricchiti dalla più innovativa tecnologia informatica ottenuta grazie alla partnership con i leader di mercato dei sistemi operativi per telefonia mobile e dei processori per computer.
Insomma: si stanno affilando le lame, pronti ad incrociare le armi. Il consumatore finale sarà l’arbitro di uno scontro che si preannuncia senza esclusione di colpi. In mezzo, il dettaglio specializzato si chiede se e come poter intercettare nuovi flussi di consumo per evitare di esserne tagliato fuori. Vi sono punti deboli sui quali lavorare: la necessità di una formazione tecnica e tecnologica normalmente estranea alle competenze classiche dell’orologiaio tradizionale e l’ingresso sul mercato di colossi dell’informatica non abituati a dialogare con una distribuzione così frammentata e di piccole dimensioni. Vi è un punto di forza, come osservato poco sopra a proposito dell’indagine GfK: se il prodotto assomiglia in tutto e per tutto a un orologio, molti consumatori saranno portati a varcare la soglia della gioielleria / orologeria per avere informazioni e per acquistare. Una bella occasione per rianimare i consumi, acquisire una clientela parzialmente nuova e attirare l’attenzione su tutta l’offerta (compresi gli orologi veri e propri!).